Cinque chicchi di riso

Non si è mai saputo come mai né quando accadde. Ma un giorno sul davanzale di Cataldo si posò un colombo un po’ sbilenco: gli mancavano un paio di ciuffi di piume sul collo e sulla testa, e appoggiava male il piede sinistro.

Cataldo faceva il pastore, anzi era uno degli ultimi pastori di quella bella zona montana. Le persone più giovani ora sceglievano di lavorare nell’industria, lui che sentiva  ormai pesare i suoi anni sulle spalle, continuava a fare caci. “Buoni come quelli della tradizione! “, diceva. E ne andava orgoglioso.

Aveva poche pecore Cataldo e dunque il latte non era molto, e così anche di caci non è che ne facesse molti. Però si rifiutava di lavorare latte di pecore non sue. Molte volte i suoi amici gli avevano detto :”Il tuo formaggio si vende bene, va a ruba, non riesci ad accontentare tutti quelli che lo vogliono : fanne di più! Magari prendi latte d’altri pastori! “. Ma lui da questo orecchio non ci sentiva. Rispondeva che lui voleva sapere da dove veniva il latte che lavorava; mammella per mammella, e questo era possibile solo con le pecore che mungeva lui stesso.

Cataldo era così. Rinunciava ad avere più soldi, si accontentava di poco, ma viveva sereno, come gli piaceva.

 Proprio dalla finestra dove si era posato il colombo, si  vedeva una bellissima vallata, di abeti e qualche larice, e giù in fondo un allegro rio, il  cui scorrere si sentiva fin lassù.

E, a quella finestra, Cataldo andava come prima cosa appena alzato. A bearsi di quel paesaggio.

Quella mattina ci trovò il colombo : “Ehi,… cosa fai lì,….ehm,… Pasquale?” Disse, prima contenuto del gioco

di parole che gli era venuto spontaneo – pensando alla colomba di Pasqua – ma poi, a  ripensarci, trovandolo di una banalità deprimente.

 

Fecero subito amicizia Cataldo e Pasquale quasi si conoscessero da tempo, e quel davanzale fosse stato scelto non a caso, ma  a ragion veduta. Sempre che i colombi abbiano una ragione! Almeno la nostra ragione, chissà? Fatto sta che quando Cataldo si accorse della zampetta offesa, Pasquale se la fece tranquillamente visitare.

“Uhm,…. Questa è una cosa vecchia,…temo che dovrai abituarti a restare zoppetto”.

Era avanzata la primavera e aveva portato i suoi fiori e la sua erba fresca colorata di verde tenue. Sugli alberi le nuove gemme si affacciavano dai rami e, intanto, l’amicizia di Cataldo e Pasquale si rafforzava. Anzi era già molto forte. Tanto che era difficile che non fossero insieme quando Cataldo era fuori di casa.

 In casa no! Lì Cataldo non lo faceva entrare, né Pasquale voleva farlo. La casa era una cosa da umani,….uno spazio troppo limitato e condizionato per un essere  libero quanto lui. Il davanzale era il posto che aveva scelto per quando voleva stare vicino al suo amico, e lì amava stare.  Lì trovava da beccare qualche seme che gli lasciava il suo amico, e intanto si guardava intorno e faceva i suoi pensieri di colombo. Quando invece ne  voleva la compagnia, faceva brevi voli mettendosi a sbattere le ali vicino ai vetri.

Così cominciavano solitamente le loro passeggiate nei campi vicini.

Cataldo camminava, lui gli svolazzava intorno, senza mai allontanarsi troppo. Come un bimbo che non ti dà la mano, ma ti rimane vicino.

E intanto Cataldo camminava e parlava: gli diceva delle erbe e degli alberi, ma anche della propria vita e delle nuvole. Tanto era convinto che il colombo seguisse i suoi discorsi e li capisse!

Quando era stanco si sedeva sul prato, su un vecchio tronco o su un grosso sasso e  continuava, a parlare. Tanto c’era chi ascoltava.

 

Pasquale ascoltava ed imparava: le parole del suo amico gli entravano dentro. Dal canto suo, Cataldo parlava al colombo con la stessa naturalezza che usava col suo cane o con le sue pecore. E ricevendone quella soddisfazione di chi sa di essere non solo udito, ma anche  ascoltato.

Un giorno gli venne una idea e disse al colombo:” Sai,… mi sta venendo una idea. Ho un vecchio amico che vive un poco lontano da qui, e vorrei fargli una sorpresa. Si chiama Cipresso, anzi veramente si chiama Tonio, ma tutti lo chiamano Cipresso perché è magro e alto come un cipresso.

Avevamo un colombo anni fa, tanti anni fa. Ci aiutava a coltivare la nostra amicizia perché ci permetteva di  superare  la distanza che divideva le nostre case.  Non c’era il telefonino a quei tempi e potevamo comunicare con molta difficoltà. Allora scambiavamo le cose da dirci con i messaggi affidati alle sue ali e alle sue zampette. Aspettavamo con molta impazienza e curiosità la posta che lui ci portava: solo poche parole, solo quelle che potevano essere scritte sui sottili foglietti legati alla sua zampina.

Era bello vederlo arrivare alle nostre finestre. E  prima ancora di leggere le notizie che ci portava, frenavamo l’impazienza e pensavamo a rifocillarlo.

Senza dimenticare una cosa: ringraziarlo per quello che faceva per noi. Allora gli davamo cinque chicchi di riso. Becchello – questo era il suo nome- beccava e poi volava verso i suoi orizzonti.

Un giorno però il suo orizzonte finì: la vita di un colombo non è poi tanto lunga. Io e Tonio restammo molto feriti: eravamo stati tre esseri felici, quando eravamo in tre!

 

 

Pasquale aveva seguito il discorso come fanno i colombi: porgendo a Cataldo un poco l’occhio sinistro, un poco quello destro. Sollevando e ripiegando le piume del collo e del petto, a seconda del tono di voce che man mano avvertiva. Così,  Cataldo continuò: “Ora ci  sei tu, forse arrivato proprio a riempire in qualche modo un antico vuoto. Ma non pensi, anche tu, che anche Tonio ne debba essere partecipe? Se anche tu fossi un viaggiatore,…. “.

Pasquale spiccò un breve, piccolo volo tornò a posarsi. Bastò questo perché Cataldo capisse, e con una contentezza, intima e grande, si affrettò a tornare a casa. Qui prese – dopo tanto tempo…. –  quel che serviva per una posta da piccione viaggiatore e scrisse al suo amico: “Caro Tonio…”.

Con il suo messaggio legato alla zampetta, Pasquale volava volava , per raggiungere la sua meta. Sotto di lui scorrevano le cime degli alberi più alti, e il chiarore di piccoli ruscelli fra le parti più scure dei boschi. I colori dei petali dei fiori appena sbocciati, la corsa di qualche animaletto per infrattarsi nei cespugli, ed anche le strade frequentate dagli uomini e dalle loro macchine. Lui guardava tutto con i suoi occhi da colombo, e con la sua testa da colombo che assapora le immagini del mondo, senza farsi distrarre dal tempo, cioè dalla fretta di altre cose.

Pasquale volava tranquillo verso la sua meta, ma non si annullava nel suo compito: intanto  godeva di ciò che la vita gli dava. Così sorvolò colline brulle e campi coltivati, e presto vide un campanile, e subito dopo tutto il profilo di un paese.

Qui d’improvviso, sentì dentro di sé quale fosse il balcone di Tonio: così lo riconobbe, Cataldo gliene aveva parlato tanto!

Vi si posò sopra e cominciò a tubare.

Quel suono richiamò Elettra, la figlia più giovane di Tonio che, dalla sua camera lo vide. Temeva che avvicinandosi e aprendo la finestra, il colombo si impaurisse: lei amava gli animaletti e non voleva questo. Si accostò piano piano, e invece Pasquale non si impaurì. Anzi si mise a sbattere le ali quasi a richiamarne l’attenzione.

 

Guarda che carino, le venne da dire: se non fosse stata sola in casa l’avrebbe mostrato a tutta la famiglia!!

Pensando a queste cose si accorse del rotolino di carta alla zampetta di Pasquale.

Lei sapeva dei messaggi che Tonio e Cataldo usavano mandarsi con Becchello: se ne era tanto  parlato in famiglia. E lei, bambina, era stata affascinata da quei racconti. Anzi, quante volte aveva pensato a quanto era bello quando a legare le amicizie era un colombo, piuttosto che cose più moderne e veloci.  Magari era meno comodo, ma di certo più bello!

Fece per avvicinarsi a Pasquale, ma Pasquale si ritrasse. Di un poco; si ritrasse ma non volò via. Aspettò che Elettra si scostasse e ritornò al suo posto. Anche Elettra aspettò un poco e poi provò a riavvicinarsi, ma di nuovo Pasquale volò via, per poi riprendere il suo posto.

 

 

Elettra capì, e parlando con voce gentile e suadente,  disse a Pasquale: “Tu cerchi mio padre! Non andare via. Vado a cercarlo e a chiamarlo: lui verrà.

Quando Tonio vide Pasquale si mise a guardarlo per un po’, e Pasquale guardò lui. Prima con un occhio e poi con l’altro occhio.

Dapprima le ali e la coda gli vibravano pronte ad un rapido volo, poi si chetarono.

E Tonio intese che la fiducia era subentrata fra di loro. “Mi  lasci prendere il messaggio”? Gli chiese con un  tranquillo filo di voce. Lo prese dalla docile zampina e le lesse: “Pasquale è il nuovo amico, che divideremo. Dagli cinque chicchi di riso e lui sarà contento e ritornerà da me”. Assai si commosse Tonio nel leggere il messaggio. Gli occhi gli si fecero umidi, e non riuscì a trattenere la dolce lacrima che gli scivolo’ sulla gota. In un solo momento rivide grande parte della sua gioventù, delle tante giornate trascorse con il suo amico Cataldo. Delle confidenze che si facevano, degli scherzi e delle risate insieme. Tutto condiviso con quel loro leggero amico, che non aveva mani ma rapide ali.

Quanti ricordi, quanti sentimenti, si affollarono nell’ anima di Tonio in un solo momento!

Rientrò allora in casa e quando tornò aveva qualcosa nel pugno: cinque chicchi  di riso. Pasquale li beccò direttamente dalla sua mano : capiva che si trattava di chicchi di amicizia, una nuova amicizia tra esseri che non comunicavano con le parole ma con il cuore. Così  Cataldo e Tonio, quando decidevano di  passare una giornata insieme, non escludevano mai Pasquale. Neanche durante il pranzo. Tonio che era un poco cagionevole di  salute si copriva  bene, ma il pranzo comunque veniva fatto nel giardino. Così Pasquale poteva svolazzare lì  intorno, mentre ascoltava il loro chiacchierare.